Dalla bottega al museo: un percorso attraverso i cinque sensi

Sul Museo del Novecento è calato il buio. È una serata di metà ottobre e una brezza leggera sospinge gli spettatori al riparo dei finestroni che incorniciano il chiostro del museo. Al centro è l’Araba Fenice di Marco Bagnoli, che imperiosa si allunga verso uno squarcio stellato di cielo.

Le luci si abbassano, il chiacchiericcio si spegne. A stringere gli spettatori nella morsa dell’attesa è  un silenzio sospeso, rotto dal suono ancestrale di un gong che segna l’inizio dello spettacolo. “Momenti Musicati e Danzati” nasce da un’idea della designer e artista Marina Calamai, che ha registrato i rumori degli attrezzi usati nelle botteghe artigianali fiorentine e ne ha fatto la colonna sonora per uno spettacolo musicato-danzato, guidato da momenti olfattivi.

Un rumore metallico riempie improvvisamente lo spazio del museo, spezzando l’aria  che si frantuma sotto le vibrazioni e i colpi di un battiloro. Ombre sinuose si aggirano per il chiostro con la grazia e il sapore misterico delle vestali, offrendo ai nasi curiosi degli spettatori un fagotto bianco, stretto in un nodo, impregnato della stessa materia che vizia le botteghe degli artigiani fiorentini: dalla naftalina al profumo di bucato, dalle verdure di stagione agli effluvi aromatici del vino. Nel frastuono di odori e rumori gli spettatori si trovano immersi in un mondo altro, fatto di materia, di barattoli, di attrezzi, di mani consumate.

Al colpo di gong, ci si ritrova in una pasticceria, dove il rumore dei gusci spezzati, del tuorlo che si tuffa nello zucchero, della frusta che batte sulla ceramica della scodella, si accompagna ai profumi speziati delle paste appena sfornate. È un odore pungente di pittura a portarci, invece, nell’officina del pittore, dove la tela si strappa, il pennello gira e rigira nei barattoli di latta e le pennellate sono sferzanti. Un gong. Un altro. Ad ogni colpo di gong, il pubblico radunato si materializza in un luogo diverso: dalle botteghe dello scultore e del liutaio, all’oreficeria, fino a che le vestali si dileguano e il chiostro torna a essere illuminato.

Le luci rischiarano il cortile interno solo per qualche secondo, poi di nuovo il buio e il silenzio. Nell’oscurità si intuiscono alcune figure muoversi su una delle quattro aiuole del cortile. Si fermano immobili, in attesa di qualcosa. Ancora un colpo di gong. Ad illuminarsi è un solo quadrante del chiostro. Nel mezzo i ballerini della Compagnia Opus Ballet di Firenze, in un alone di luce, cominciano lentamente a muoversi, rispettando il ritmo dettato dai rumori delle botteghe d’artigiano. I movimenti delle tre coppie che si alternano tra un gong e l’altro sono precisi e ipnotici e si susseguono a una velocità tale da lasciare gli spettatori senza fiato. I suoni delle botteghe si mischiano fra di loro, creando melodie inaspettate rispettate fedelmente dai ballerini, che, attraverso il quadro mimico della coreografia costruita da Aurelie Mounier, diventano la riproduzione danzata delle realtà artigianali presenti a Firenze, celebrando i lavori storici come il battiloro e il liutaio. Dopo una serie di balletti ritmati da brevi pause silenziose e buie, lo spettacolo si conclude con lo stridente segnale ISDN, che ci ricorda come la tecnologia stia prendendo il sopravvento sull’uomo, strappando alle sapienti mani degli artigiani il lavoro appreso e tramandato in secoli di storia.

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di Alfredo Arvalli e Linda Pedraglio
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[questo articolo nasce dalla collaborazione con la Scuola di linguaggi Fenysia]

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