Instagram e musei. Connubio perfetto… o forse no?

In Italia sono pochissimi i musei presenti su questo social network che, sebbene sia la piattaforma più adatta all’arte visuale, non sempre viene utilizzato nel migliore dei modi. Anzi.

Sembra paradossale, ma il social network meno utilizzato dai musei italiani è proprio Instagram. Da una ricerca pubblicata lo scorso anno dall’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali solo il 15% delle strutture utilizza il social network visual per eccellenza.

È una constatazione che lascia quantomeno perplessi, visto che i musei sono il luogo dove le immagini suscitano emozioni. Le opere d’arte stesse sono uno straordinario percorso di storytelling. Perché allora spesso si abusa di questa parola senza alla fine utilizzarla per quello che è il suo significato? Perché non si riesce nell’intento di raccontare qualcosa, soprattutto nei musei? Troppo spesso si vedono profili social molto didascalici, poco accattivanti e in alcuni casi addirittura incapaci di raccontare una storia.

Il problema non è certo la mancanza di materiale. L’Italia è il paese dell’arte, in ogni angolo del Paese abbiamo a che fare con l’arte. Ma da sola non basta, è evidente: bisogna trovare il modo giusto per raccontarla e, di conseguenza, valorizzarla. Ovviamente, parlando di Instagram, ci stiamo riferendo in particolare al racconto per immagini, ma non tutte le immagini sono uguali.

E, siccome un’immagine dice spesso più di cento parole, ricorriamo proprio a una foto (anzi tre) per spiegarci meglio.

Guardate queste raffigurazioni del David di Michelangelo:

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La prima, quella a sinistra, è piuttosto piatta; certo mostra il soggetto, lo conosciamo tutti. Ma cosa aggiunge? Cosa ci racconta? Ben poco. Le altre due invece vanno oltre la mera descrizione: c’è la drammaticità, c’è la forza, c’è la plasticità, c’è il talento di Michelangelo. Tutto questo in ogni singola immagine. 
Avendo a disposizione invece più immagini di questo tipo, si può fare qualcosa di molto interessante. 
Ecco alcuni esempi sparsi per il mondo (e, alla fine, anche un italiano degno di nota: gli Uffizi di Firenze) di come un account Instagram riesce in questo intento: raccontare un museo e farlo bene.

Centre Pompidou (@centrepompidou)

La scelta di un racconto è ben chiara sin da subito. Non si parla solo di contenuti, che possiamo dare anche per scontati in un museo, ma soprattutto di modo di comunicare. Esteticamente il profilo di questo museo è molto accattivante: già solo la scelta della palette di colori identifica molto la comunicazione. È diviso fondamentalmente in percorsi tematici fatti di tre/sei fotografie con uno scopo ben preciso: raccontare e incuriosire, capisaldi dello storytelling. Si rimane affascinati dal complesso, ma si può scendere nei particolari e seguire percorsi differenti dove protagoniste sono sì le opere d’arte, ma non solo. C’è l’aspetto umano dell’interazione con il museo, c’è il luogo fisico, la struttura, certamente iconica, c’è la città, ci sono gli artisti. Il profilo stesso, con questo racconto di opere d’arte frammentate, è un’opera d’arte.a

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Musée d’Orsay (@museeorsay)

Giovanissimo su Instagram (è del marzo 2016 il primo contenuto) il Musée d’Orsay fa dei contrasti la sua cifra stilistica. Da un lato ci sono le opere, dall’altro i visitatori. Ma c’è anche il backstage, come gli allestimenti, la struttura architettonica, i dettagli, Parigi. Un doppio sguardo, un doppio racconto. La costruzione e la fruizione, tutto raccontato con grande attenzione. Le immagini sono molto curate e propongono una visione assolutamente non banale: dai dettagli delle opere (fil rouge che appare fin dal primo post) a visioni d’insieme che danno l’idea della grandezza e la bellezza di questo museo.

LACMA (@lacma)

Il Los Angeles Country Museum of Art è un museo che ha nelle sue collezioni opere che vanno dalla preistoria fino all’arte contemporanea. Non c’è un vero filo logico nella narrazione, si salta da una stanza all’altra senza razionalità, come un flusso di coscienza. Il punto di vista differente di questo museo è quello di dedicare particolare attenzione ai visitatori: hanno creato l’hashtag #DogsofLACMA con il quale coinvolgono il pubblico in un contest fotografico (i cani ritratti negli spazi del museo). La loro narrazione mostra anche la vita del museo, i suoi spazi, i dietro le quinte. Le stesse fotografie fatte nel museo con l’interazione del pubblico a volte diventano esse stesse delle opere d’arte.

Color Factory (@colorfactoryco)

Una menzione particolare va fatta per la Color Factory di San Francisco. Questo museo è stato ideato e allestito pensando ai social media e, in particolare, proprio a Instagram. Una superficie di 1.115 metri quadrati pensata per essere fruita in ogni sua parte dal pubblico. L’interazione è massima, è un’esperienza coinvolgente e immersiva (anche fisicamente): il visitatore tocca, guarda, fotografa e si fotografa negli allestimenti. E l’account Instagram non poteva che essere fatto così: persone e colori i protagonisti assoluti. Le istallazioni sono fatte per Instagram anche se il design del museo ricalca quello di uno spazio tradizionale. Qui si può fare quello che altrove non è permesso: interagire materialmente con l’opera d’arte. Viene ribaltato il concetto di arte intoccabile, fruibile sì, ma non partecipativa. Qui la partecipazione è massima, anzi dovuta. Ogni visitatore con il suo contributo trasforma l’opera d’arte, ne crea una nuova e ne crea una propria. Questo è l’esempio di come i social stiano cambiando il nostro modo di vivere.

Gallerie degli Uffizi (@uffizigalleries)

Per quel che riguarda l’Italia sicuramente da citare è l’account degli Uffizi, nato da pochissimo (2015) e diventato subito, com’è ovvio, uno dei più seguiti tra gli account dei Musei nazionali. Il museo fiorentino offre una panoramica completa sia sulle opere che sulle sue attività. L’idea è un po’ quella del viaggio: da una parte il visitatore può vedere un catalogo delle opere esposte con un approfondimento (scritto), quasi a preparazione della visita, dall’altro c’è uno sguardo sugli spazi dei musei (sì, perché, oltre agli Uffizi, ci sono Palazzo Pitti e il Giardino di Boboli). Il punto di vista non è didascalico, lontano, ingessato: l’hashtag #UffiziVintage, per esempio, guarda al passato eripercorre la storia del museo, #UffiziVision ne illustra la filosofia, mentre collegate a #UffiziLive troviamo piccole testimonianze di quello che accade nelle sale del museo. Esteticamente la gallery è molto curata e il punto di vista di una buona parte delle immagini è interessante perché alternativo, originale, proprio per dare una visione diversa. Un ottimo lavoro a cui guardare per comunicare bene.

Il punto è quindi cambiare il paradigma del racconto. Il trucco vincente sembra essere proprio quello di offrire un’esperienza diversa, alternativa. E per farlo bisogna cambiare punto di vista: sia fisicamente, offrendo visuali alternative, non convenzionali, sia concettualmente, proponendo percorsi differenti che offrano una prospettiva difforme dalla normale rappresentazione didascalica. Il punto qui non è la capacità tecnica nella realizzazione delle immagini (perlomeno non del tutto) o l’orario di pubblicazione del post, ma le idee. Quello che conta per una narrazione interessante e quindi efficace è raccontare e incuriosire, Torniamo quindi al punto di partenza dell’arte stessa, raccontiamo, ma a nostro modo: una sfida che moltissimi Musei italiani dovrebbero raccogliere quanto prima.

Emanuele Meschini
Agenzia Profili

[Questo articolo nasce da una collaborazione della quale siamo molto contenti: quella con la società di consulenza Profili, nostro partner nella comunicazione istituzionale per tutto il 2018]