5 curiosità sulla mostra Passione Novecento
Il collezionista d’arte torinese Luciano Anselmino è il fautore dell’incontro tra Andy Warhol e Man Ray, avvenuto nell’appartamento parigino di quest’ultimo nel 1973. Warhol fece posare l’allora 83enne, noto artista dadaista e surrealista di cui lo stesso Warhol era ammiratore, con un sigaro in bocca e un berretto da marinaio in testa. Il risultato è il ritratto esposto qui in mostra.
La tecnica del disegno a puntini contraddistingue le opere di Roy Lichtenstein, da non inquadrare però come uno sviluppo del puntinismo francese, dove i puntini di colore servono per dare da lontano una sensazione di colore uniforme. La volontà è quella di riprodurre la stampa su carta, selezionando scene di fumetti e realizzando a mano con la tecnica chiamata Ben-Day dots. Emblema della pop-art americana, l’artista statunitense è rappresentato in mostra da Ragazza allo specchio.
Ammettiamolo, è quello che più o meno tutti hanno pensato almeno una volta vedendo un’opera d’arte dalla realizzazione, apparentemente, facile. Può essere successo ad esempio con l’opera qui esposta Concetto spaziale verde di Lucio Fontana. Eppure riprendendo il concetto esemplificativo del celebre esperto d’arte Bruno Munari, <<nel momento in cui qualcuno dice “questo lo so fare anch’io” vuol dire che lo sa rifare, altrimenti lo avrebbe già fatto prima!>>. In queste opere Fontana sembra voler superare l’ostacolo della tela con un unico gesto d’impeto, quasi a voler lasciare spazio a un’altra dimensione: “Io buco: passa l’infinito di lì, passa la luce, non c’è bisogno di dipingere”
Se Lucio Fontana buca e squarcia la tela c’è chi invece, partendo da una stampa finita, scolla e strappa. È la tecnica del décollage che ha reso famoso Mimmo Rotella, che nel 1953 intravede nel manifesto pubblicitario una espressione artistica da valorizzare. L’intuizione la ebbe, secondo quanto dichiarato in un’intervista, mentre passeggiava, rendendosi conto che alcuni manifesti pubblicitari affissi ai muri della città erano stati strappati. Proprio da quegli strappi percepì una <<forza particolare che restituiva nuovi colori dal fascino unico>>. Possiamo ammirare la tecnica nell’opera esposta Fetish.
Bianco Cretto (1973) può considerarsi l’antefatto di quello che Alberto Burri realizzerà nella vecchia Gibellina 11 anni più tardi. È realizzata in ceramica cotta chiara contenente caolino e massa resinosa che, cuocendo, produce una crettatura su tutta la superficie. La realizzazione di queste opere, i Cretti appunto, richiede dei tempi lunghi e una grande attenzione nel dosaggio dei materiali distesi sul supporto, controllando i tempi di asciugatura in modo da provocare variazioni dimensionali della trama e maggiore profondità della stessa. L’effetto finale ricorda le superfici delle terre argillose, quando la siccità raggiunge il suo apice.