5 cose che non sapevi su… Stefano Bardini
Prima di scoprire la passione per il restauro, il commercio e il collezionismo d’arte, un giovane Stefano Bardini approdava a Firenze dalla provincia di Arezzo, dov’era nato, con il desiderio di diventare un artista. Divenne studente di pittura all’Accademia di Belle Arti, dove grazie al suo primo incontro con l’arte antica iniziò a realizzare delle bozze alquanto promettenti. Habitué dei circoli dei Macchiaioli, senza però mai riuscire a farne parte, il giovane Stefano, smanioso di fare fortuna e con grandi ambizioni, si rese presto conto che la carriera artistica non gli avrebbe garantito il tenore di vita che desiderava. Complice il luogo in cui si trovava (Firenze in quel tempo rappresentava uno dei più importanti mercati di oggetti di antiquariato), Bardini colse le potenzialità del mestiere di restauratore e iniziò a praticarlo.
Molteplici sono stati i fattori che hanno contribuito a che, con gli anni, Stefano Bardini diventasse il principe degli antiquari, come viene suggestivamente definito. Il primo, l’abbiamo detto, è senz’altro dovuto all’importanza di Firenze come luogo in cui pullulava lo scambio dei più disparati oggetti d’uso comune e di arte, fondo oro, sculture e piccoli oggetti di alto artigianato. Un altro fattore è rappresentato dalla scelta di Firenze come luogo per la prima Esposizione Nazionale del neonato Regno d’Italia, nel 1861: in questa occasione Bardini ebbe modo di confrontarsi con l’eclettismo imperante nel mondo antiquario e dell’artigianato artistico, oltre ad entrare in contatto con i maggiori esperti del mestiere, come i Castellani antiquari e orafi di Roma, il Tricca e il Ciampolini a Firenze. Determinante fu l’incontro con l’assistente alla direzione della collezione di antichità e della pinacoteca dei Regi Musei di Berlino Wilhelm von Bode, creatore del Kaiser Friedrich Museum di Berlino grazie anche alla collaborazione, alle opere e ai consigli di Bardini che, di contro, entrò in contatto con il potente mondo dei magnati tedeschi.
Nel 1880 la fama di Stefano Bardini lo precede, l’antiquario è conosciuto in tutta Europa e anche oltreoceano, così da avvertire la necessità di creare uno spazio espositivo personale. Bardini acquistò in primo luogo la chiesa e il convento di San Gregorio della Pace e li fece ristrutturare secondo un gusto neoclassico: l’interno fu sistemato con grandi fonti di luce, fu accuratamente pensata un’illuminazione per ogni sala, per creare suggestioni e atmosfere diverse in ogni singolo ambiente; le pareti vennero dipinte di una particolare tonalità di blu, rinominata alla luce del grande successo Blu Bardini. La scelta di questo colore è forse ispirata alle dimore internazionali della nobiltà russa e ai sontuosi palazzi di San Pietroburgo. Molti nobili russi che risiedevano in Italia, soprattutto a Pisa, Firenze e Roma, avevano portato con sé la predilezione per questo colore. Ne è per tutti esempio il cosiddetto Palazzo Blu che spicca tra gli ocra dei palazzi che si affacciano sul lungarno di Pisa. La tonalità del blu Bardini non è però solo da considerarsi un richiamo per la nobile clientela, ma anche un’accorta citazione del rinascimento fiorentino e delle opere dei Della Robbia.
Il Blu Bardini fu particolarmente apprezzato in determinati ambienti e alcune testimonianze raccontano come altri collezionisti – Isabella Stewart Gardner a Boston e Nelie Jaquemart André a Parigi, vollero replicarlo nelle proprie eleganti dimore. Di diverso avviso furono i funzionari del Comune di Firenze, che con un restauro del 1925 ridipinsero le sale del palazzo considerandolo frutto di un “orrido gusto” e “da far alleghire i denti”. Solo i recenti restauri del 2009 hanno restituito le tonalità di blu al Museo che Stefano Bardini, con il suo testamento datato 10 settembre 1922, donava alla città di Firenze.
Non per caso si diventa antiquari di livello internazionale e Stefano Bardini ebbe tante occasioni per dimostralo, come abbiamo detto. Una di queste fu l’uso che seppe fare della fotografia, semplificata nei procedimenti tecnici proprio in quegli anni, come espediente per ingolosire i fini palati artistici di ricchi collezionisti europei e d’oltreoceano. Allestì nel suo palazzo in piazza de’ Mozzi un laboratorio molto attrezzato e, complice la formidabile bravura nell’esaltare l’opera con un attento gioco di luci e primi piani, documentò scrupolosamente la merce da “piazzare”. Una volta visionate le foto ricevute per posta, il destinatario preparava le valigie alla volta di Firenze, sperando di concludere l’acquisto in galleria.
La popolarità internazionale di Stefano Bardini la si deve anche all’esportazione di moltissime opere del patrimonio artistico nazionale, complice l’assenza delle leggi di tutela che sarebbero state emanate negli anni a seguire (nel 1902 la “Tutela del patrimonio monumentale” e nel 1909 “Per le antichità e le belle arti”). Erano tempi in cui le grandi famiglie latifondiste vivevano grandi difficoltà finanziarie per colpa della crisi agraria, ma finalmente potevano alienare i loro tesori. Il vincolo del fedecommesso, che imponeva al primogenito di mantenere il patrimonio per la generazione successiva, era stato abolito. Le soppressioni napoleoniche dei conventi, la distruzione del vecchio centro di Firenze e le successive soppressioni ecclesiastiche del 1866 determinarono un afflusso considerevole di opere d’arte sul mercato. I grandi musei e i collezionisti internazionali ambivano ad accaparrarsi opere del Rinascimento: quelle opere di eccelsa qualità che Stefano Bardini raccolse copiose in tutte le parti d’Italia, con occhi esperti, fiuto infallibile e pochissimi scrupoli.
Chissà quante opere passate tra le mani del principe degli antiquari oggi arricchiscono i principali musei internazionali o le dimore di persone facoltose.
Questo, sia chiaro, non mette in discussione il talento dimostrato nel campo d’interesse, e potremmo dire che la donazione della collezione personale alla città di Firenze in parte redime la sua memoria.