5 cose che non sapevi sulla Fondazione Romano
Affacciato su una piazza animata, la Fondazione trova la sua sede nell’antico Cenacolo di Santo Spirito ed è un ampio spazio di silenzio dove piccoli e grandi capolavori si trovano distribuiti nell’ambiente – esattamente come aveva immaginato l’antiquario – permettendoci di osservarle una ad una e di goderne appieno in un’atmosfera pausata e suggestiva.
Qui troviamo infatti opere, prevalentemente scultoree, di grandi artisti – da Tino da Camaino a Jacopo della Quercia – ma anche di lapicidi anonimi, eppure non meno suggestive.
Ecco qualche curiosità.
Sulla parete est si trova un affresco trecentesco dipinto da Andrea di Cione, detto l’Orcagna, e da suo fratello Nardo. Osserviamo in alto un’affollata Crocifissione e in basso, pur frammentaria, la raffigurazione dell’Ultima cena, che ricorda l’originaria funzione dell’ambiente: era infatti destinato a refettorio dei frati agostiniani del convento di Santo Spirito. Lo spazio fu utilizzato a tal scopo fino al tardo Cinquecento, quando venne sostituto dal Refettorio nuovo, posto perpendicolarmente rispetto a questo e affrescato da Bernardino Poccetti. Il fondo rosso scuro del nostro dipinto trecentesco non è che lo strato preparatorio in “rosso morellone”, necessario per la successiva applicazione di azzurrite, oggi perduta.
Lungo la parete settentrionale spicca invece un drago alato dalle fauci spalancate, in pietra: è un’opera tardo-cinquecentesca ed è attribuita al grande scultore Bartolomeo Ammannati. Il soggetto è strettamente correlato ai committenti: fu infatti scolpito per la dimora lucchese della famiglia Busdraghi. L’opera nasce come fontana; dalla bocca del drago l’acqua sarebbe caduta nella ricca vasca marmorea trilobata sottostante, dove è riconoscibile appunto lo stemma della famiglia, sostenuta da un basamento anch’esso in pietra.
Salvatore Romano, di origine campana, si avvicinò giovanissimo all’arte e all’antiquariato e nel 1924 si trasferì a Firenze con la moglie e il figlio Francesco. Qui il raffinato antiquario coltivò la raccolta e la compravendita di opere antiche, di qualsiasi genere e di qualsiasi epoca, e per accoglierle degnamente acquistò nel 1939 due piani di Palazzo Magnani Feroni, su via dei Serragli. Opere e manufatti vennero distribuiti nel palazzo secondo un’esposizione scenografica, per essere ulteriormente implementati dal figlio Francesco e venduti in tempi recenti, durante una memorabile asta Sotheby’s del 2009: il catalogo comprendeva 1813 lotti e l’asta durò per quattro giorni interi.
Il sarcofago sul fondo dell’ambiente fu destinato, per volere dello stesso Salvatore Romano, a suo sepolcro: il coperchio a baule, reimpiegato a tal
fine, è paleocristiano: sui lati si stagliano due pavoni, simboli di vita eterna e immortalità, con al centro il monogramma di Cristo e le due lettere greche alpha e omega, inizio e termine della vita umana.
Sulla parete ovest sono visibili due curiosi rilievi marmorei: sono curiosi perché da una parte presentano un’altissima qualità realizzativa, con un fine modellato arricchito da cromìe, dorature e paste vitree, dall’altra mostrano la loro natura di frammenti. I due rilievi furono infatti rinvenuti dall’antiquario Romano in una casa nobiliare di Padova, dove sembra che fossero stati reimpiegati, rovesciati, come gradini. Si tratta di due porzioni di una più grande lastra marmorea, opera di Donatello, che a Padova soggiornò e lavorò a metà Quattrocento: possiamo riconoscervi le sembianze di due santi, di cui uno identificato con San Prosdocimo, ricordato come primo vescovo di Padova.