Alfabeti Sommersi. Emilio Isgrò e Anselm Kiefer

Alfabeti Sommersi. Emilio Isgrò e Anselm Kiefer

A cura di Marco Bazzini e Sergio Risaliti
Mostra promossa dal Comune di Firenze. Organizzazione Mus.e
In collaborazione con Galleria Lia Rumma e Galleria Tornabuoni Arte

In occasione del 50° anniversario dell’alluvione di Firenze saranno presentate per la prima volta e in un unico contesto fiorentino le opere di due grandi artisti del nostro tempo: Emilio Isgrò e Anselm Kiefer. La mostra, a cura di Marco Bazzini e Sergio Risaliti, realizzata in collaborazione con le gallerie Lia Rumma e Tornabuoni Arte,  sarà ospitata da 1 novembre al 13 novembre in Sala d’Armi a Palazzo Vecchio, dove si concentreranno nei giorni successivi gran parte degli eventi organizzati dal Comune di Firenze per ricordare i drammatici eventi del 1966, quando, verso le cinque del mattino del 4 novembre, l’Arno straripò trasformando la città in un immenso lago immerso nelle tenebre di acque limacciose, causando vittime e travolgendo nella sua furia auto e merci di ogni genere, quadri e sculture, libri e manoscritti, infangando preziosi affreschi, marmi e fondi oro, tessuti e arredi lignei.

I libri, a centinaia, furono vittime della violenza delle acque che invasero la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e altre storiche biblioteche, imbrattando e distruggendo un patrimonio cartaceo di eccezionale valore. Molti di questi tesori vennero salvati in una catena di amicizia e di solidarietà che coinvolse ragazzi, uomini e donne, arrivati da ogni parte del mondo.  I famosi “angeli del fango”. Tra questi anche un giovane Emilio Isgrò, che da giornalista inviò alcuni articoli proprio da Firenze. Ancora oggi decine di volumi attendono di essere restaurati. Mentre altri sono andati irrimediabilmente perduti. Assieme ai libri, ai manoscritti, ai codici miniati, vennero colpite centinaia di opere d’arte.  Due sono, infatti, i simboli, o meglio le icone, universalmente riconosciute di quel cataclisma: il “Crocifisso” di Cimabue, rabbiosamente sfregiato nella basilica di Santa Croce il 4 novembre 1966, quando l’Arno invase la chiesa, il cenacolo, i chiostri e il “libro”, l’altro oggetto del patrimonio artistico, assurto da quel momento a testimone dell’alluvione fiorentina.  Al “libro”, in quanto tale, e al dipinto di Cimabue si legano i temi della memoria, quello del dolore, della fragilità della bellezza, della distruzione del patrimonio artistico, assieme ai temi della rinascita e della cura, del restauro e della resilienza.

Nella vasta produzione di Isgrò e Kiefer, il libro rappresenta sicuramente un oggetto di fondamentale valore etico ed estetico, carico di significati universali.  Le opere saranno presentate in un allestimento inedito in Palazzo Vecchio sede principale delle celebrazioni organizzate in ricordo del drammatico evento e della immediata reazione dei cittadini nei giorni successivi al disastro. In questa speciale ricorrenza, Emilio Isgrò ha deciso di presentare in anteprima il “Prologo del Vasari”, nuovo ciclo monumentale di “cancellature” operate sulle biografie degli artisti scritte da Giorgio Vasari nel Cinquecento. Un’operazione che collega in modo ancor più diretto l’esposizione odierna all’anniversario dell’alluvione, quindi alla drammatica rovina del patrimonio cartaceo e di quello artistico, disastro che viene ancora oggi identificato con i libri delle biblioteche fiorentine, veri e propri “alfabeti sommersi”, e con il Crocifisso di Cimabue, le cui ricevute offesse e la cui bellezza restaurata sono il simbolo universale di sacrificio e di rinascita, in questo caso di una intera città e delle sua magnificenza.

 

Anselm Kiefer ( Donaueschingen, 8 marzo 1945)

Anselm Kiefer è considerato uno tra i maggiori innovatori del linguaggio pittorico europeo e internazionale.  Produttore di opere monumentali, ha rinnovato le iconografie contemporanee, ispirandosi alla storia travagliata del proprio paese, la Germania, e del suo popolo, senza rinunciare all’elaborazione del dolore universale e al confronto con la tragedia bellica e con l’olocausto. Pittore della memoria occidentale novecentesca ha incarnato la figura dell’artista poeta epico e civile. Attraverso la sua ricerca artistica ha indagato nella storia e nel mito. Le sue opere pittoriche, frutto di una lunga e lenta elaborazione, appaiono intrise di tinte cupe e terrose, crettature, e stratificazioni, e l’inserimento di materiali eterogenei per ottenere una teatrale tridimensionalità. Tra i suoi soggetti preferiti risulta la biblioteca e il libro, testimoni della civiltà e luoghi della memoria e dell’archivio.

Intrapresi nel 1965 gli studi di giurisprudenza presso l’università Albert Ludwig di Friburgo, già dal 1966 si dedicò alla pittura, prima frequentando i corsi di P. Dreher alla Staatliche Hochschule der Bildenden Künste, poi nel 1969 studiando alla Kunstakademie di Karlsruhe e dal 1970 al 1972 a Dusseldorf come allievo di Beuys. Con quest’ultimo artista ha condiviso, oltre al concetto d’arte come strumento di catarsi, la scelta dei materiali poveri e delle cose umili. Fino al 1993 ha vissuto e lavorato a Buchen, per poi trasferirsi a Barjac, in Francia, e infine a Parigi.

Ha incentrato le sue ricerche inizialmente su temi ispirati alla letteratura tedesca romantica e alla storia della Germania tra le due guerre, utilizzando spesso la fotografia sia come supporto di dipinti sia come mezzo espressivo autonomo. Dalla seconda metà degli anni Settanta ha trattato, con un violento linguaggio di tipo materico-gestuale, tematiche paesaggistiche, vicine all’astrazione, spesso unite a parole o frasi dipinte, utilizzando il colore accanto a materiali diversi su tele, lastre di piombo, carta stampata. Nel 1980, nel padiglione tedesco della Biennale di Venezia ha esposto il ciclo Verbrennen-Verholzen-Versenken-Versanden. Ha realizzato inoltre libri d’arte in cui unisce al testo dipinti, fotografie e collages. Ha partecipato a grandi rassegne internazionali come Documenta di Kassel (1977, 1982, 1987) e la Biennale di Venezia (1997), oltre che in numerose mostre personali all’estero e in Italia nei più grandi musei di arte contemporanea.  Dal 2004, le sue sette torri, “Sette Palazzi celesti”, sono presenti a Milano, negli spazi della Bicocca.  Ha partecipato a Monumenta, a Parigi,  presentando i suoi lavori all’interno del Grand Palais nel 2007. Nel 2015 si è tenuta una sua personale al Centre Pompidou di Parigi. Le sue opere sono nelle più importanti collezioni pubbliche e private del mondo.

Come ha scritto Michele Bonuomo:  “Quelli di Kiefer sono libri sapienziali che parlano di una nuova sacralità della pittura; che trattano di un concetto del sacro strutturato attraverso riferimenti storici o letterari e, allo stesso tempo, di manipolazione della forma. Libri pesanti e pensanti che usano parole e segni tra di loro intercambiabili perché insieme ridefiniscono il rapporto tra individuo e cosmo, riaffermano la forza della natura, stigmatizzano gli errori e gli orrori della storia e riallacciano un dialogo interrotto tra divino e terreno”.

 

Emilio Isgrò ( Barcellona Pozzo di Gotto, Messina, 1937)

Considerato tra gli innovatori del linguaggio artistico italiano del secondo dopoguerra, Emilio Isgrò è il padre indiscusso della cancellatura, un atto che ha iniziato a sperimentare dai primi anni Sessanta e che ancora oggi mantiene la stessa vivacità e audacia creativa. Questa originale ricerca sul linguaggio lo ha reso una figura pressoché unica nel panorama dell’arte contemporanea internazionale facendone uno degli indiscussi protagonisti. Della cancellatura Isgrò dice: “Alle origini, probabilmente, essa non fu che un gesto: uno dei tanti gesti che gli artisti compivano un tempo per segnare di sé il percorso della vita e del mondo”. E continua: “Essa mi si è di fatto trasformata tra le mani anno per anno, minuto per minuto, piegandosi meglio di quanto volessi o sperassi al mio desiderio d’artista”. È, infatti, il 1964 quando l’autore inizia a realizzare le prime opere intervenendo su testi, in particolare le pagine dei libri, coprendone manualmente grande parte sotto rigorose griglie pittoriche. Le parole sono cancellate singolarmente con un segno denso e dello scritto restano leggibili soltanto piccoli frammenti di frasi o un solo vocabolo. Nel tempo questo gesto si applica alle carte geografiche, ai telex, al cinema, agli spartiti musicali, anticipa le espressioni più tipiche dell’arte concettuale, si declina in installazioni e, con il passaggio dal nero al bianco negli anni Ottanta, arriva a risultati pittorici senza cedere alla pittura. Il cancellare è un gesto contraddittorio tra distruzione e ricostruzione. Le parole, e successivamente le immagini, non sono oltraggiate dalla cancellatura ma attraverso questa restituiscono nuova linfa ad un significante portatore di più significati: l’essenza primaria di ogni opera d’arte. La cancellatura è la lingua inconfondibile della ricerca artistica di Emilio Isgrò che oggi appare come una filosofia alternativa alla visione del mondo contemporaneo: spiega più cose di quanto non dica.  Dopo l’esordio letterario con la raccolta di versi Fiere del Sud (Schwarz 1956), si dedica alla Poesia visiva, nel doppio ruolo di teorizzatore e artista. Nel 1966 si tiene la sua prima personale presso la Galleria 1 + 1 di Padova a cui seguono numerose mostre presso la Galleria Apollinaire di Milano; la Galleria Schwarz, La Bertesca di Genova la Galleria Lia Rumma a Napoli e la Galleria Blu di Milano. Nel 1977 vince il primo premio alla Biennale di San Paolo. Nel 1985 realizza a Milano l’installazione multimediale La veglia di Bach, commissionata dal Teatro alla Scala per l’Anno Europeo della Musica, mentre nel 2010 con la mostra Var Ve Yok è presente alla Taksim Sanat Galerisi in occasione di Istanbul Capitale Europea della Cultura. Partecipa alla Biennale di Venezia del 1972, 1978, 1986 e del 1993, quest’ultima con una sala personale. Di rilievo è anche la sua attività di scrittore e uomo di teatro, consolidatasi con L’Orestea di Gibellina (1983/84/85) e con alcuni romanzi e libri di poesia, tra cui L’avventurosa vita di Emilio Isgrò (Il Formichiere, 1975), Marta de Rogatiis Johnson (Feltrinelli, 1977),Polifemo (Mondadori, 1989), L’asta delle ceneri (Camunia, 1994), Oratorio dei ladri (Mondadori, 1996) e, infine, Brindisi all’amico infame(Aragno, 2003). In questi ultimi anni sue mostre personali sono state presentate al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato (2008), alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (2013) e, questa estate, una grande antologica ha coinvolto a Milano, Palazzo Reale, Gallerie d’Italia e Casa del Manzoni. Le sue opere sono presenti nelle maggiori collezioni private e pubbliche nazionali e internazionali . Marco Bazzini ha così descritto i libri cancellati di Isgrò: ” Con la cancellatura Isgrò interrompe il rapporto con la  contingente realtà del discorso per riconquistare la parola in una dimensione poetica. Ma, in questo moto di riappropriazione del lato trascendentale, contemplativo, Isgrò non perde di vista il corpo materiale del libro, il suo essere carne oltre che verbo. Il libro in Isgrò non è soltanto un simbolo di una cultura che non si arrende alla smaterializzazione, non è soltanto il luogo di una memoria in un tempo smemorato, ma è il luogo dove continuamente si può rinascere, proprio come succede alla parola e all’immagine travolte dalla furia della cancellazione. Il libro come luogo della speranza”.

 

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