I musei che ci aspettano 

Se entraste una domenica pomeriggio al Museo Novecento, giusto in piazza Santa Maria Novella a Firenze, in pausa dalla passeggiata nel centro, trovereste di che ristorarvi.

Primo, avendo con voi la Card del Fiorentino (€10 annui per entrare in tutti i Musei Civici quando volete) non paghereste nulla; secondo, ad accogliervi trovereste qualcuno pronto a orientarvi e a introdurvi alla visita delle diverse sale, con il sorriso; poi potreste cominciare il vostro viaggio nell’arte del secolo scorso, stupendovi, rallegrandovi e interrogando voi stessi – e gli eventuali amici e familiari con voi – di fronte alle opere delle collezioni e delle mostre.

Silenzio, bellezza, piacere, benessere: questo è ciò che un museo può regalarci. Ma soprattutto, può regalare – a chiunque sia disposto a dedicare un po’ del suo tempo a questo luogo, un po’ magico un po’ vetusto, che si ammira ma di cui si ha timore – infiniti spunti per conoscere e per conoscersi, per riconoscere e riconoscersi. “Guarda, che meraviglia”. “Che cosa vorrà mai dire?” “Questo a me piace moltissimo” “Ecco, ricordo, l’avevo studiato”. Gli occhi guardano, recepiscono, approfondiscono: e in quella straordinaria relazione fra sguardo, cuore e cervello si accendono sensazioni, riflessioni, emozioni che travalicano la nozione per addentrarsi nel proprio vissuto. Sì, perché l’incontro con l’arte ha tuttora da dirci qualcosa: guardando un dipinto non vogliamo solo sapere chi l’ha fatto, quando e perché; sentiamo qualcosa; capiamo qualcosa; entra in gioco tutto il nostro io. Non solo gli storici, ma anche i filosofi, gli antropologi, i sociologi, gli psicologi, persino i medici indagano il senso più profondo dell’incontro con l’arte.

Durante la pandemia i musei sono stati chiusi al pubblico. Hanno potenziato il proprio mondo digitale, mentre tutti eravamo chiusi in casa, hanno offerto consolazione, distrazione, passatempo, soprattutto cura. E, come ricordava Paola Dubini al Festival dell’Economia civile, conclusosi da qualche giorno in Palazzo Vecchio, in quelle giornate difficili tutti noi abbiamo sentito il bisogno di cantare sui balconi l’aria del Va’ pensiero; tutti noi abbiamo guardato desolati le riprese video dei nostri centri storici deserti, dei nostri monumenti muti. Sì, riflette Dubini, i nostri meravigliosi monumenti non sono gli stessi senza qualcuno che li guarda e che li vive. Sì, proseguiamo noi, i nostri musei non sono gli stessi senza qualcuno che vi entra. I musei sono per noi. Sono luoghi pubblici non solo perché sono aperti al pubblico, ma perché vivono con il pubblico, per il pubblico. Le sale di un museo non possono essere vuote: la loro vita dipende da noi, che continuiamo – oggi come allora – a dare senso al loro essere-lì.

Con grande fatica – tra incertezze e responsabilità, protocolli e misure di contenimento – i musei hanno voluto riaprire al pubblico, tra fine maggio e inizio giugno, e continuano ad aspettarci. Se troviamo un momento per entrare, per entrare nei musei della nostra città o in quelli delle città vicine, non troveremo code interminabili, biglietti costosi, gruppi in maratona; nessuno ci chiederà nulla; troveremo noi stessi, staremo bene. Perché la cultura ci regala, solo, questo.

Valentina Zucchi 
Responsabile mediazione culturale