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Di cosa parliamo quando parliamo di Ytalia: i grandi temi della mostra

Più di 100 le opere esposte, realizzate dagli anni ’60 a oggi, che raccontano il pensiero degli artisti in mostra permettendoci di cogliere differenze e intenzioni comuni.

 

Nonostante il contemporaneo sia portatore di discontinuità, cambiamenti radicali e innovazioni iconografiche, ogni artista svela le sue origini lasciando intuire la sua aderenza a un passato con il quale si rapporta. Le opere non sono immediatamente riconoscibili al visitatore, ma giocano con forme archetipiche che diventano i temi fondamentali della mostra.

Si spiega così lo studio tra vuoto e pieno di Marco Bagnoli, individuabile nelle due opere “Si sedes non is” e “Si non sedes is” che ricordano due mongolfiere disposte l’una a est, dove sorge il sole, l’altra a ovest, dove tramonta.

In “Calamita Cosmica” di Gino De Dominicis è evidente una riflessione sull’immortalità umana: terra e cielo, finito e infinito, visibile e invisibile sono temi che a loro volta pongono l’artista in stretta connessione con le altre opere in mostra, facendo di questo lavoro imponente (24 metri di lunghezza) il fulcro attorno al quale si sviluppano tematiche di dualità.

Visibile e invisibile, forze che governano l’universo sono temi che attraverso l’opera di Anselmo rendendo consapevole l’osservatore della propria condizione di infinitamente piccolo nei confronti del cosmo infinitamente grande. Una relazione, questa, che non tende a porre il pubblico in uno stato drammatico d’inferiorità e distanza rispetto alla forza di creazione ma, piuttosto, a trasmettergli un senso di rassicurazione e forza: il riferimento alla spanna, la larghezza della mano di una persona, e l’altezza della pietra permettono all’opera “Dove le stelle si avvicinano di una spanna in più”, di essere il mezzo positivo attraverso il quale lo spettatore può avvicinarsi un po’ di più al cielo e alle stelle, in una tensione costante verso l’infinito.

 

Nell’ambizioso tentativo da parte di Remo Salvadori di unire terra e cielo e accorciare la distanza tra mondo fisico e idea, vi sono oggetti che vengono caricati di significati: “L’uomo che ode” è la reinterpretazione filosofica agogô, strumento musicale di origine nigeriana che pone l’artista in relazione con la musica. L’opera è realizzata in rame e stagno e racchiude in sé un doppio significato: da una parte è uno strumento vibrante capace di emanare sonorità, dall’altra il materiale di cui è costituita l’opera, il metallo, è individuato dall’artista come uno degli elementi primari dell’universo.

La continua ricerca di forme archetipiche e dualismo di concetti portano Mario Merz a individuare nell’igloo, la tipica abitazione in ghiaccio delle popolazioni Inuit, una struttura arcaica, che ben si relaziona con la ricerca filosofica dell’artista, la quale si sviluppa tra apertura e chiusura, forma reale e simbolica, e che individua nella spirale, attivata dall’energia del neon, l’origine di qualsiasi cosa contrapposta alla forza distruttrice che è invece riconosciuta nel coccodrillo. In Merz risalta dunque un universo mosso da dinamismo cosmico dove tutto è connesso e in continua trasformazione e in cui le regole del tutto sono descritte attraverso i numeri della serie di Fibonacci. Un universo in continua trasformazione, in cui tutto è connesso.

Nunzio prosegue il tema del pieno e vuoto ponendo la sua opera in relazione con il paesaggio tramite la matericità stessa del legno, considerato materiale vivo, di cui l’opera è composta.

Alla creazione tramite accumulo di materiali di Merz si contrappone il lavoro per sottrazione di Anselmo che, con la sua opera “Verso l’infinito”, riflette sul concetto di invisibile attraverso il simbolo matematico dell’infinito (∞), che diventa indice di qualcosa che noi come essere umani non possiamo percepire.

Infine lo studio di simboli appartenenti alla memoria arcaica echeggia anche in Paladino: le pitture mostrano maschere, guerrieri, cavalli e simboli semplificati che fanno del suo lavoro un’arte apotropaica e tribale.

Processi cosmici di trasformazione, una natura creatrice e, comune a ogni maestro, una koinè che permane, pur variando i materiali, le forme, le suggestioni e gli studi compiuti dagli artisti. Un’ideale continuità dinamica del cosmo che comunica l’energia creativa nello sviluppo del pensiero, in un’arte intesa come forma compiuta dove tutto è connesso cielo e terra, visibile e invisibile, presente e passato, fisica e metafisica e nella quale secondo il poeta mistico Rumi, a cui Merz si ispira, “se la forma scompare, la sua radice è eterna”.