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Il concettualismo di Giulio Paolini: l’arte che succede

Un ottimo metodo per visitare Ytalia è informarsi su un particolare artista ed organizzare un piccolo itinerario giornaliero: in questo modo è possibile osservare meglio le opere, studiarne il significato intrinseco e non lasciarsi scappare alcun dettaglio.

La produzione artistica di Giulio Paolini è una vera e propria riflessione metafisica sull’intero processo della creazione artistica. Paolini, infatti, ritiene che “l’opera pre-esiste all’intervento dell’artista, che è il primo a poterla contemplare.” Egli si interroga sul ruolo dell’artista, sugli strumenti della rappresentazione, sulla relazione tra autore e opera, opera e osservatore e osservatore e artista.

Secondo Paolini “art happens”: l’opera  pre-esiste l’autore che semplicemente si dispone ad accoglierla, a renderla materiale e tangibile. Spesso lo spettatore si ferma all’aspetto estetico dell’opera, senza tener conto della progettualità e del lavoro dell’artista. Dunque egli invita l’osservatore a guardare creativamente l’opera. Non ne facilità la fruizione, non rende la visione “superficiale”, piuttosto stimola la ricerca, la riflessione sul significato e sul lavoro lungo lavoro progettuale.  Lo spettatore non è più fruitore passivo, ma partecipa attivamente, viene coinvolto direttamente nel processo creativo.

 

Cominciate la vostra giornata al Forte Belvedere, dove è possibile ammirare l’installazione Immacolata Concezione. Senza Titolo/Senza Autore (2007-08) che riflette perfettamente la riflessione artistica di Paolini: l’opera pre-esiste, seppur platonicamente, all’artista che si impegna a renderla materiale invitando lo spettatore ad elaborare una propria interpretazione. L’artista non vuole imporre la propria visione, ma stimolarne di nuove. In un’altra sala del Forte si trova invece Dopo La Fine (L’Ermafrodito) (2017) che secondo Paolini è “l’unica figura in grado di sottrarsi agli inesorabili processi evolutivi dettati dalla Natura.”

Dopo una lunga mattinata sulla collina del Forte, e un immancabile pausa sulla terrazza panoramica per scattare qualche foto del bellissimo skyline fiorentino, proseguite la visita agli Uffizi, precisamente nella Sala di Venere della Galleria Palatina, dove è esposta Elegia (1969), presentata alla Biennale di Venezia del 1970. Nell’occhio destro tratto dal caldo in gesso del David di Michelangelo è incastonato un frammento di specchio, in corrispondenza della pupilla, che concettualmente rappresenta “uno sguardo ultimo e definitivo su tutte le opere che l’avevano preceduta.” Ultima tappa della visita Palazzo Vecchio, dove si trovano due delle opere più apprezzate e acclamate dell’artista genovese di nasciata, ma torinese di adozione. La prima, “L’altra figura” (1984), si compone di due calchi in gesso del busto dell’Eros di Centocelle di Prassitele, collocati su due basi sfalsate, come se guardassero i cocci del terzo calco, uguale a loro, disseminato per terra in frammenti. I busti si interrogano, si chiedono se quei frammenti siano parte di se stessi, e allo stesso tempo comprendono l’irrecuperabilità del passato. Tale sentimento trova riscontro anche nella seconda opera Casa di Lucrezio (1981), anch’essa in mostra in una delle sale del primo piano di Palazzo Vecchio.

Una giornata intensa alla scoperta di un’artista che fa della propria arte uno strumento di ragionamento, riflessione profonda. Un’arte che, come un piccolo miracolo “succede, accade. L’arte è un piccolo miracolo! che sfugge, in certo modo, all’organizzata causalità della storia. Sì, l’arte accade, o non accade; questo non dipende dall’artista.”